Vai al contenuto
novembre 7, 2011 / Climacter

Anton Pavlovic Cechov, Il gabbiano

NINA

E io vorrei essere al vostro posto.

TRIGORIN

Perché?

NINA

Per scoprire cosa sente un famoso scrittore di talento. Come si prova la celebrità? Cosa provate voi ad essere famoso?

TRIGORIN

Cosa? Probabilmente niente. Non ci ho mai pensato. (Dopo aver riflettuto).I casi sono due: o voi esagerate la mia celebrità, o questa non si avverte per nulla.

NINA

E se i giornali che leggete parlano di voi?

TRIGORIN

Quando ne parlano bene, fa piacere, quando male, allora per due giorni non ti senti a posto.

NINA

Che mondo meraviglioso! Quanto vi invidio, se sapeste! È diverso il destino degli uomini. Alcuni trascinano a malapena la propria noiosa, insignificante esistenza, tutti uguali gli uni agli altri, tutti infelici; ad altri invece, come a voi, per esempio, e siete uno su un milione, è toccata in sorte una vita interessante, luminosa, piena di significato… Voi siete felice…

TRIGORIN

Io? (Stringendosi nelle spalle). Hmm… Voi parlate tanto di celebrità, di felicità, di una vita luminosa, ma tutte queste parole per me, mi scuserete, sono proprio, come la marmellata, che non mangio mai, Voi siete tanto giovane e buona.

NINA

La vostra vita è meravigliosa!

TRIGORIN

Ma che cos’ha di tanto meraviglioso? (Guarda l’orologio).Adesso devo andare a scrivere. Scusatemi, non ho tempo… (Ride).Avete toccato, come si suol dire, il mio punto debole, ed io comincio a turbarmi e a seccarmi un poco. Comunque, parliamone pure. Parliamo della mia splendida, luminosa vita… Beh, da dove cominciamo? (Dopo aver riflettuto un poco). Ci sono delle idee ossessionanti, quando un uomo, per esempio, pensa giorno e notte alla luna; anch’io ho una mia luna di quel tipo. Giorno e notte mi tormenta un solo pensiero importuno: devo scrivere, devo scrivere, devo… Non faccio a tempo a finire una novella che già, chissà perché, ne devo scrivere un’altra, poi una terza, e dopo la terza una quarta… Scrivo ininterrottamente, come quando si cambiano i cavalli alle stazioni di posta, non so fare altrimenti Cosa c’è in tutto questo di meraviglioso e luminoso, io vi domando? Oh, che vita selvaggia! Ecco sono qui con voi, mi agito, e intanto penso ad ogni istante che mi aspetta una novella incompiuta. Vedo una nuvola simile ad un pianoforte. Penso: bisogna che in qualche racconto rammenti che fluttuava una nuvola simile ad un pianoforte. C’è odore di eliotropio. Subito mi imprimo nella mente: odore dolciastro, colore vedovile, rammentarsene nella descrizione d’una sera estiva. Colgo ogni singola frase che voi ed io pronunciamo, ogni singola parola e mi affretto a racchiudere queste frasi e parole nel mio scrigno letterario: potrebbero tornare utili! Quando finisco un lavoro, corro a teatro o a pescare; mi potrei riposare, potrei dimenticare, ma no, in testa già rotola una pesante palla di ghisa, un nuovo soggetto che mi trascina al tavolino, e di nuovo bisogna precipitarsi a scrivere, scrivere. E così sempre, sempre, e non ho pace da me stesso, e sento che sto divorando la mia stessa vita, e per il miele che do a qualcuno nello spazio, rubo il polline ai migliori fiori, li strappo e ne calpesto le radici. Forse che non sono pazzo? Forse che parenti e amici mi trattano come una persona sana? “Che cosa state scrivendo? Che cosa ci regalerete?”. Sempre le stesse cose, sempre le stesse, e a me pare che le attenzioni dei conoscenti, le lodi, l’ammirazione siano tutto un inganno, che mi ingannino come si inganna un ammalato, e talvolta io temo che mi si facciano quattamente alle spalle per agguantarmi e portarmi via, come con Poprigšèin, al manicomio. In quegli anni, negli anni migliori, negli anni giovanili, quando ho cominciato, lo scrivere per me altro non era che pura tortura. Uno scrittore giovane, in particolare quando la fortuna non gli arride, si ritiene goffo, imbarazzato, inutile, ha i nervi tesi, irritati; non sa trattenersi dal gironzolare fra la gente che ha a che fare con la letteratura e con l’arte, non accettato, ignorato da tutti, timoroso di guardar dritto negli occhi, come un giocatore accanito che non abbia denaro. Non vedevo il mio lettore, ma me lo immaginavo, chissà perché, scostante, diffidente. Avevo paura del pubblico, lo temevo, e quando si rappresentava una mia nuova commedia, ogni volta mi sembrava che i bruni fossero profondamente ostili, e i biondi freddamente indifferenti. Oh, che cosa terribile! Che tormento!

NINA

Scusate, ma l’ispirazione e lo stesso processo creativo non vi danno momenti sublimi, felici?

TRIGORIN

Sì, quando scrivo, sto bene. E correggere le bozze è un piacere, ma… non appena un lavoro è stampato, non lo sopporto più, e capisco che non è riuscito, che è stato uno sbaglio, che non avrei, dovuto scriverlo affatto, e me ne dispiaccio, e che meschinità nell’anima… (Ridendo).E il pubblico legge: “Sì, grazioso, che talento… Grazioso, ma ben lungi da Tolstoj”, oppure: “Splendido lavoro, ma Padri e figli di Turgenev è meglio”. E così fino alla lapide tombale tutto sarà grazioso e ricco di talento, grazioso e ricco di talento, niente più, e quando sarò morto i conoscenti passando davanti alla mia tomba diranno: “Qui giace Trigorin. Era un bravo scrittore, ma non all’altezza di un Turgenev”.

NINA

Scusatemi, ma mi rifiuto di capirvi. Siete semplicemente viziato dal successo.

TRIGORIN

Da quale successo? Non mi sono mai piaciuto. Non mi piaccio come scrittore. E la cosa peggiore è che vivo come in stato di ebbrezza e spesso non capisco quello che scrivo… Amo quest’acqua, questi alberi, il cielo, sento la natura che suscita in me la passione, il desiderio invincibile di scrivere. Ma io non sono solo un paesaggista, sono anche un cittadino, amo la patria, il popolo, sento che se sono scrittore ho l’obbligo di parlare del popolo, delle sue sofferenze, del suo futuro, di parlare della scienza, dei diritti dell’uomo e di altre cose ancora, e parlo di tutto, mi affretto, mi spronano da ogni lato, si arrabbiano con me, e io mi barcameno da una parte all’altra, come una volpe braccata dai cani, vedo che la vita e la scienza continuano ad avanzare, mentre io resto sempre più indietro, come un contadino che ha perso il treno, e in fondo sento che non so descrivere altro che paesaggi, e che in tutto il resto sono falso, falso fino al midollo.

Lascia un commento